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GABRIELE DINI

​Testo a cura di Cecilia Metelli

 

È chiaro, a chi conosce il suo lavoro, che a Gabriele Dini interessa il mondo delle api. Anche guardandoVideo tutorial: Share and Learn, salta agli occhi come dal fascinoso sistema messo a punto dai piccoli insetti, egli abbia mutuato metodo organizzativo, stile operativo, ispirazione estetica. Ma anche molto altro. La sua passione riprende una tradizione millenaria al cui sviluppo hanno contribuito letterati, filosofi, poeti e scienziati, a volte incarnati da un’unica persona, che dalla osservazione di quel mondo hanno tratto, e quindi restituito, trasformato in pensiero, immagine, parola o suono, il proprio nutrimento intellettuale ed artistico.

Al nutrimento, ma stavolta non in senso lato, nel video di Dini si fa riferimento in maniera esplicita. L’artista inscena di fronte alla telecamera fissa una dimostrazione culinaria quasi reale. Surreale? Forse, se per surreale si intende inverosimile. Egli si diverte a sostituire con gli ingredienti del suo personale ricettario d’artista, che consiste di colla trasparente, tubi di plastica, olio, cera d’api ecc., quelli di un convenzionale piatto da chef. La scelta però non ha nulla di surreale, anzi. Nasce da una precisa volontà di individuare un parallelismo tra arte e cibo, “accostando la preparazione di un’opera d’arte a quella di una ricetta” come lui stesso afferma, utilizzando gli ingredienti a disposizione alla stregua di un cuoco impegnato nella confezione del piatto desiderato (non è casuale il richiamo a tanti programmi che imperversano nelle tv e nel web). 

Dini nel proprio video propone una narrazione visiva del processo creativo ed esecutivo, senza commento, né verbale né sonoro, che diventa esso stesso opera d’arte (per questo accostabile al concetto di arte in relazione al cibo e alla cucina espresso da Joseph Beuys). Viene così a crearsi una linea di congiunzione tra il suo lavoro e quello dell’artista concettuale che usa accompagnare all’opera finita istruzioni puntuali utilizzate nel corso del processo esecutivo e riportate nella didascalia. In qualche modo tutte le decisioni sono prese in anticipo e il video presenta la visualizzazione del progetto che potrebbe essere in fondo comunicato anche solo da un testo scritto: “dopo aver tagliato i tubi di plastica in parti uguali, unite i pezzi ottenuti uno a uno utilizzando colla trasparente ecc.”. Chiunque potrebbe ripetere l’operazione. Naturalmente accanto al filmato è esposto il prodotto finito.

L’artista attraverso questo lavoro, inoltre, intende suggerire considerazioni di ordine diverso, più teorico; la sua vuole essere una operazione di denuncia nei confronti della società moderna, votata al capitalismo, che sta trasformando il cibo in materia da esibire, più che da mangiare, anche a costo di sacrificarne le intrinseche proprietà nutritive. Egli punta il dito contro il tentativo sempre più insistente di ricreare artificialmente la natura manipolandola fino ad ottenere “artefatti verosimili e talvolta ‘indigesti’” al solo scopo di trarne profitti monetari. Da qui nasce l’inganno di cui ognuno può cadere vittima e che Dini, servendosi di una immagine metaforica, ripropone nel video, dove dietro all’apparentemente invitante alveare ricolmo di miele si cela in realtà una micidiale combinazione di plastica e olio, incommestibile, insostenibile e altamente inquinante. 

Volendo infine tentare un richiamo all’arte del passato, anche solo per segnare uno scarto significativo, possiamo qui affermare di essere ben lontani dalla visione che del cibo proposero i futuristi, i quali elaborarono volutamente una cucina “pazzesca e pericolosa”, come scrisse il suo teorizzatore Filippo Tommaso Marinetti nel 1932, in alcuni casi al limite del commestibile e favorevole alla sperimentazione di nuovi preparati chimici. Ma se il senso della proposta culinaria di Dini risulta di segno esattamente opposto rispetto a quella contenuta nel manifesto futurista, non sarà del tutto fuori luogo osservare che entrambe nascono da una energica volontà di entrare in rapporto dialettico con la realtà circostante utilizzando l’arte anche come mezzo di provocazione e di denuncia.

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