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KARPÜSSELER

ECO E NARCISO FIGLI DEL SILENZIO

Talora nel crepuscolo un volto ci guarda dal fondo di uno specchio;

l'arte deve essere come quello specchio che ci rivela il nostro proprio volto.

(J. L. Borges)

Testo a cura di Claudia Bottini

 

L’Hortus diventa lo stagno di Narciso. Karpüseeler sceglie il frammento recintato della fonte su cui si affaccia il volto del cacciatore greco; sul fondo scuro dell’acqua, Ovidio nelle Metamorfosi parla di un luogo chiuso e ombroso da essere quasi buio, lo specchio convesso, la Voce lontana di Eco.

Eco e Narciso sono figli del silenzio. La distanza a cui il rifiuto di Narciso costringe Eco, che innamorata l’osserva, tenendosi lontana, emerge nella solitudine di Narciso, nel vuoto di relazioni intorno a lui. Strabone riferisce che nelle vicinanze del Santuario di Amphiaros sorgeva un cenotafio dove “Narkissos” era onorato come Eroe del Silenzio, condizione primaria del regno dei morti. Il Silenzio avvolge Narciso, nel suo isolamento non si ode che il nulla; permanendo nella distanza, si rende sordo ad ogni richiamo del mondo.

La voce di Eco è quella dell’artista, della parola ripetuta e franta, che riesce solo parzialmente ad interpretare la realtà. Fin dagli anni Ottanta, Karpüseeler crea superfici convesse, specchi curvi dove l’occhio, scrive l’artista, «"tra/guarda" se stesso[…], le Voci rinominano il mondo circostante però attraverso una deformazione, una propria condizione. Non ripresentano la realtà come in uno specchio piano (la normalità) ma la rinominano. Infatti gli specchi dritti […] li chiamo Silenzi»[i].

Eco notturna è un’opera del 1987, due grandi pannelli che si fronteggiavano ed in cui sono inseriti due specchi parabolici di cui uno nero. Karpüseeler distoglie lo sguardo dello spettatore dall’universo per spingerlo nello specchio che si staglia su uno sfondo opaco, privo di ogni possibilità di empatia. Nello specchio invece troviamo l’immagine ipnotica che ci restituisce un’identità illusoria, deformata ed evanescente.

Silenzio è anche il nome dell’installazione del 1994, quando copre la vasca di un antico lavatoio con una lastra di vetro dipinta di nero. L’acqua di quella fonte oggi è reale e nasconde lo specchio, quasi fosse «l’ombra dell’io», come lo definisce Giorgio di Genova, «che viene alla luce dalle oscurità profondissime e si determina epifanicamente e concettualmente per lo sguardo proprio e quello altrui»[ii]. Bisogna affacciarsi e rispecchiarsi nello stagno, senza riconoscersi identici nell’immagine riflessa, ma attraverso lo specchio convesso, scambiando l’immagine deformata per oggetto d’amore impossibile, per l’equivoco di fondo di scambiare l’inganno dei sensi con la realtà. La parola, la voce, diventa illusione che si confonde con il sogno.

Ogni artista sa che solo attraverso la sua arte, ossia i suoi rispecchiamenti nello stagno di Narciso, può sconfiggere la morte che si annida nelle profondità. Narciso, mitico fondatore dell’autoritratto e Karpüseeler, che con la serie degli Autoritratti (1991) riesce a creare sculture di legno attraverso l’emissione del suono del suo nome, con un grafico unito ad un tornio. La voce rende manifesta la sua presenza nello spazio, è «alla voce», si legge nel suo scritto teorico, «che attribuisco proprietà formanti, negli autoritratti è la pronuncia del mio nome […] a costituire le onde sonore che successivamente segnano, incidono un elemento ligneo posto di fronte e me».

Nel risuonare della voce, la compenetrazione fra Eco e Narciso è totale, l’incontro può finalmente aver luogo: suono e immagine si fondono l’uno nell’altro, prima di scomparire assieme.

 

Claudia Bottini

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